Il fortunoso ritrovamento delle tavolette babilonesi ha aperto una piccola finestra sulla archeogastronomia: cioè la cucina dei popoli antichi, ancora oggi praticamente sconosciuta. Ittiti, assiri, egizi, fenici, minoici, micenei e tante altre civiltà minori del Medio Oriente e del Mediterraneo, sembrano apparentemente non interessate a scrivere e tramandare i segreti della loro cucina. È incredibile, ma infatti poco o nulla delle ricette di questi antichi popoli che pur hanno lasciato testimonianze scritte su argomenti di ogni genere, è arrivato alla nostra attenzione. Un vuoto di millenni, difficile da colmare e da spiegare se non per la totale perdita delle fonti scritte che pur dovevano esistere nelle biblioteche di re e notabili del tempo.
Sia ben chiaro, vari storici, principalmente greci e romani, hanno ampiamente riferito su usanze culinarie e gusti delle antiche civiltà.
Ma quel che ci mancava sono le preparazioni, gli ingredienti utilizzati, le loro quantità e come questi cibi venivano cotti e consumati.
Ed ecco, allora, la chiara importanza di questo davvero eccezionale libro di Arnaldo Caruso che indaga a fondo e originalmente sull’argomento, colmando una grave lacuna anche con le autentiche e sorprendenti “rivelazioni” delle ricette in voga all’epoca, che ora è possibile intanto conoscere, e magari in qualche modo rifare e “assaporare” come un fantastico salto indietro nel tempo. Seppur, ovviamente, nessuno è più in grado di ridarci l’esatto gusto dei cibi di allora, possiamo ora sensibilmente avvicinarci, arrivare ad un passo dall’autenticità di una preparazione, provando quasi come in un gioco, a ridare vita ad un gusto perduto, ad un piatto che esprime e contiene il fascino dell’antico, del mondo che non c’è più. Del resto, cos’è la cucina senza immaginazione, fantasia, sensibilità?